Sono Antonio Arbia, ho quasi 85 anni e mai avrei pensato, nella mia vita piena di esperienze, avventure e vicissitudini, di dover affrontare una pandemia ed un lungo ricovero come quello che ho appena vissuto.
Ho avuto la conferma di un fatto notorio, ma spesso dato troppo per scontato: la nostra Società e le nostre comunità si reggono, tra gli altri, sui fondamentali principi di assistenza mutualistica per i malati ed i bisognosi.
L’amore e la compassione per il malato, che il Beato Padre Luigi Tezza ha sempre predicato con impegno, dedizione e forza d’animo, sono stati messi a dura prova nel periodo più cupo del contagio da COVID19. Tutti gli operatori del settore sanitario si sono trovati ad affrontare un nemico nuovo e terribile, sfoderando tuttavia doti di impegno, umanità, professionalità, compassione e sacrificio che hanno consentito di superare un ostacolo che si è dimostrato tanto insidioso quanto spietato.
I malati cronici e coloro che hanno avuto la necessità di essere assistiti e ricoverati durante la pandemia, sia presso le strutture ospedaliere che in quelle di degenza ed ospitalità, hanno sperimentato un periodo di grande solitudine, di privazione del calore e del contatto umano, orfani di quel sollievo che deriva anche solo da un sorriso amichevole di una persona cara. Le lunghe giornate passate senza la possibilità di contatto e dialogo con i sanitari e, tanto meno, con i propri familiari, hanno reso evidente, lampante, quanto lo stato di prostrazione e sofferenza indotto da un ricovero forzato possa essere reso più sopportabile dal malato quando questo è posto nelle condizioni di trovare e giovarsi del sostegno morale di un familiare, di un amico, di una persona cara, di chi metta a disposizione degli altri qualche ora del proprio tempo per trascorrerla con chi è ricoverato. Purtroppo sono testimone di quanto è accaduto ed ho potuto personalmente sperimentare l’incubo del COVID19: nel marzo del 2020 sono stato ricoverato nel reparto di rianimazione dell’Ospedale di Treviso, senza rendermi conto di quanto stava accadendo, trovandomi in stato di semi incoscienza. Dopo una settimana sono stato trasferito in una struttura di assistenza, in quanto le mie condizioni, seppur impercettibilmente, miglioravano e l’Ospedale aveva urgente necessità di spazi e posti letto. Mi sono risvegliato in una struttura sconosciuta, vuota, in mezzo ad estranei che non avevano idea di chi io fossi, senza il contatto, il calore ed il supporto dei miei cari, che potevo sentire solo telefonicamente e con notevoli difficoltà. Anche mia moglie è stata ricoverata, in altre strutture ed in altri giorni. Ho vissuto la desolazione della paura, del timore di perdere tutto, negli oltre venti giorni di ricovero per il COVID19; ho trascorso giornate senza nemmeno poter scambiare una parola con qualcuno, arrivando anche a disperare di poter tornare a casa mia. Solo con il mio rientro ho potuto riacquistare la serenità dell’ambiente familiare.
Dopo quella terribile esperienza di ricovero, ne ho vissuta un’altra, del tutto diversa e diametralmente opposta. Nel marzo del 2023 ho subito un investimento, che mi ha causato diverse fratture e per il quale tuttora patisco conseguenze in termini di dolore e disabilità. Durante il secondo ricovero, durato oltre tre mesi, tuttavia, tutto è stato diverso, soprattutto presso il reparto di medicina riabilitativa dell’Ospedale San Camillo, dove sono stato accolto con premura ed attenzione e dove ho avuto la fortuna di poter contare su un’assistenza medica pronta ed efficace, accompagnata dalla grande generosità, umanità e comprensione dimostratami in ogni occasione, sia nei momenti di serenità che nei frequenti momenti di sconforto, durante i quali nessuno degli addetti, sanitari e parasanitari, ha mai perso di vista l’obbiettivo di prestare assistenza, conforto e supporto ai malati del reparto. Lo stesso reparto dove ho trovato un’atmosfera sempre positiva e dove, con notevole sforzo organizzativo, si è sempre garantita la presenza, nonostante le restrizioni dovute al COVID19, dei miei cari. Mia moglie mi è sempre stata accanto, durante i lunghi pomeriggi della degenza e della riabilitazione, insieme ai miei figli e gli altri familiari. Debbo molto a tutti, in termini di riconoscenza e gratitudine. E non posso che apprezzare, ancora una volta, come l’attenzione dell’Ospedale San Camillo e degli insegnamenti del Beato Padre Tezza ci abbiano condotto a superare anche l’ennesimo ostacolo.
Auguro a tutti i malati di poter usufruire di un’assistenza così attenta e umana, ringraziando tutto il reparto, i medici, il personale infermieristico, i fisioterapisti e tutti i collaboratori, meravigliosamente guidati e rappresentati dal Dr. Andrea Beltramin e dalla Caposala Suor Angela.
Treviso, 22.09.2023
Antonio Arbia
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