Con la sentenza emessa in data 17.11.2023 il Tribunale di Udine interviene a confermare l’orientamento più recente della Giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, nella dibattuta materia della responsabilità ex art. 2051 C.C., con particolare riguardo alla portata dell’onere probatorio gravante sul danneggiato.
La vicenda
Il danneggiato affermava di aver perso il controllo del proprio veicolo percorrendo una Strada Regionale, la cui custodia era affidata all’Ente Regionale che aveva, a propria volta, ne aveva appaltato il servizio di manutenzione a ditta privata. La perdita di controllo del veicolo, in conseguenza del quale il proprietario reclamava un ingente risarcimento, veniva imputata alla presenza di un ostacolo imprevisto ed imprevedibile lungo la carreggiata, non adeguatamente sgombra e, quindi, non sicura. Sia l’Ente Regionale che la ditta incaricata della manutenzione stradale deducevano di aver svolto tutti i controlli e le opere manutentive necessari a garantire la sicurezza del bene, sostenendo così che la responsabilità dell’evento dovesse imputarsi esclusivamente ad imprudenza del danneggiato nella condotta di guida.
La Decisione
Il Tribunale di Udine ha preliminarmente chiarito che la vicenda va inquadrata, alla luce delle prospettazioni delle parti coinvolte, all’interno della disciplina del danno cagionato da cose in custodia, così come delineata dall’art. 2051 C.C., pur dando atto della nota incertezza interpretativa ed ermeneutica esistente in Giurisprudenza ed in dottrina. Il Giudice Friulano, tuttavia, si è richiamato ai recentissimi arresti della Corte di Legittimità per inquadrare il caso concreto.
Gli operatori del settore hanno rintracciato una summa della materia nella sentenza della Terza Sezione della Suprema Corte del 11152/2023, ove si precisa che non è ulteriormente discutibile che la responsabilità di cui all’art. 2051 C.C. abbia natura OGGETTIVA, alla luce dell’evoluzione delle varie interpretazioni fornite dalla Giurisprudenza di legittimità nel corso degli anni. L’ultima e più autorevole delle legittimazioni proviene dalla conferma dalle Sezioni Unite della Cassazione le quali, con la sentenza n. 20943/2022, ove si è confermato che la responsabilità di cui all’art. 2051 C.C. ha, appunto, carattere oggettivo, e non presunto, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione, da parte del danneggiato, del nesso di causalità tra la cosa in custodia ed il danno, gravando invece sul custode l’onere della prova liberatoria del caso fortuito, senza alcuna rilevanza della eventuale diligenza rintracciabile nella condotta del custode.
Corollari di tale principio sono stati desunti dalla suddetta affermazione: l’art. 2051 C.C., nel qualificare responsabile chi ha in custodia la cosa, per i danni da questa cagionati, individua un criterio di imputazione della responsabilità, che prescinde da qualunque connotato di colpa, sicché incombe in capo al danneggiato allegare, dandone la prova, il rapporto causale tra la cosa e l’evento dannoso, indipendentemente dalla pericolosità di essa, ovvero dalle caratteristiche intrinseche della prima (con ciò ribaltando la precedente interpretazione giurisprudenziale). Da qui si precisa anche che, l’allegazione di eventuali omissioni, violazioni di obblighi di legge, di regole tecniche o di criteri di comune prudenza, da parte del custode (ovvero dell’incaricato del servizio di custodia e manutenzione) rileva ai fini della sola fattispecie dell’art. 2043 cod. civ., ad eccezione dei casi in cui la suddetta allegazione sia diretta esclusivamente a dimostrare lo status della res e la sua attitudine intrinseca ad arrecare danno a terzi, a conferma e prova del rapporto causale diretto (quasi esclusivo) tra la cosa e l’evento dannoso. Altra deduzione di rilievo è quella riguardante il caso fortuito, rappresentato da fatto naturale o del terzo, che deve essere connotato da imprevedibilità ed inevitabilità; caratteristiche che devono intendersi, tuttavia, individuate da un punto di vista oggettivo e di regolarità causale (o della causalità adeguata), ancora una volta senza che assuma rilievo la diligenza del custode. La Suprema Corte afferma, a questo punto, che le modifiche improvvise della struttura della cosa (nel caso specifico, le condizioni del manto stradale) incidono in rapporto alle condizioni di tempo e divengono, col trascorrere del medesimo dall’accadimento che le ha causate, nuove intrinseche condizioni della cosa stessa, di cui il custode deve rispondere. In altre parole, tanto maggiore è il tempo trascorso dall’alterazione dello stato dei luoghi, così maggiore sarà la responsabilità presunta del custode inadempiente. La condotta del danneggiato quale evento esterno al rapporto di custodia e, quindi, concretizzante il caso fortuito, è connotato dall’esclusiva efficienza causale nella produzione dell’evento. A tal fine, la condotta del danneggiato che entri in interazione con la cosa si atteggia diversamente, a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione anche ufficiosa dell’art. 1227 C.C., comma 1, dovendo essere valutata valorizzando anche il dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 della Carta Costituzionale.
A carico dell’utente della strada, quindi, debbono quindi porsi le conseguenze della soggettiva prevedibilità dell’evento, in ragione della condotta specifica: quanto più la situazione di possibile danno sia suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione, da parte dello stesso danneggiato, delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando lo stesso comportamento, benché astrattamente prevedibile, sia da escludere come evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale. Sul piano della struttura del fatto evento (e non su quello del fatto conseguenza, che risulta ormai definitivamente scolpita dalle pronunzie della Cassazione) è necessario evidenziare che il caso fortuito appartiene alla categoria dei fatti giuridici e si pone in relazione causale diretta, immediata ed esclusiva con la res, senza intermediazione di alcun elemento soggettivo; mentre la condotta del terzo e la condotta del danneggiato rilevano come atto giuridico caratterizzato dalla colpa (art. 1227, comma 1), con rilevanza causale esclusiva o concorrente intesa, nella specie, come caratterizzazione di una condotta oggettivamente imprevedibile ed oggettivamente non prevenibile da parte del custode.
“Sia il fatto (fortuito) che l’atto (del terzo o del danneggiato) si pongono in relazione causale con l’evento di danno non nel senso della (impropriamente definita) «interruzione del nesso tra cosa e danno», bensì alla luce del principio disciplinato dall’art. 41 del Codice Penale, che relega al rango di mera occasione la relazione con la res, deprivata della sua efficienza di causalità materiale, senza peraltro cancellarne l’efficienza causale sul piano strettamente naturalistico. Ciò tanto nell’ipotesi di efficacia causale assorbente, quanto di causalità concorrente di tali condotte, poiché, senza la preesistenza e la specifica caratterizzazione della res, il danno non si verificherebbe. …” (vedi Cass Civ. - Sez. 3, Sentenza n. 11152 del 27/04/2023, con sottolineature aggiunte a cura del redattore).
Il Tribunale di Udine, quindi, facendo proprie le indicazioni della Suprema Corte, precisa ulteriormente che, come da consolidata Giurisprudenza, “l'incidenza causale (concorrente o esclusiva) del comportamento del danneggiato presuppone che lo stesso abbia natura colposa, non richiedendosi, invece, che sia anche abnorme, eccezionale, imprevedibile e inevitabile” (Vedi Cass Civ. - Sez. 3, Ordinanza n. 14228/2023). Di conseguenza, sempre nel solco dell’insegnamento della Suprema Corte (Cass civ. - Sez. 3, Ordinanza n. 21675/2023), si arriva ad affermare che la condotta negligente/imprudente/imperita, quindi colposa, del danneggiato è suscettibile di escludere il nesso causale tra la cosa e l'evento, anche laddove sia concretamente configurabile un contestuale contegno soggettivamente colposo del gestore, che non abbia attuato tutti i comportamenti utili ad eliminare o contenere il rischio derivante dalla pericolosità intrinseca della res.
In conclusione, una volta affermato che debba ritenersi condivisa l’importanza della rigorosa affermazione della natura oggettiva della responsabilità da cose in custodia, senza poter, tuttavia, escludere la diretta riconducibilità del danno alla condotta del danneggiato, nelle ipotesi in cui detta condotta non possa considerarsi evenienza prevedibile, ragionevole o accettabile, assurgendo pertanto al rango di causa esclusiva di quest'ultimo e relegando la res al ruolo di mera occasione; sarà normale ed inevitabile concludere che, il danneggiato, in base al proprio comportamento concreto, non si sia attenuto a quel generale dovere di ragionevole cautela, imposto dal principio di solidarietà ex art. 2 Cost. precedentemente richiamato.
Ciò chiarito, il Tribunale afferma che, alla luce delle prove raccolte (nello specifico: 1) assenza di testi oculari dell’evento, 2) gravità del medesimo, con ribaltamento e cappottamento del veicolo, 3) entità del danno pari alla metà del valore ante sinistro del mezzo, 4) rapporti di custodia ed intervento dei manutentori, 5) assenza di condizioni atmosferiche avverse al momento del sinistro, sia doveroso concludere che, tra la cosa in custodia (la Strada Provinciale) e l’evento dannoso (sinistro stradale con perdita di controllo del veicolo), abbia interferito, in maniera determinante, la diversa efficienza causale della condotta umana del danneggiato il quale, colposamente, nel percorrere una strada montana e -giova sottolinearlo- in pieno periodo invernale, alla vista di residuo nevoso chiaramente percepibile ed insistente su di un tratto limitato della carreggiata, non solo non ha adeguato la velocità del mezzo alla situazione di palese rischio, ma neppure ha adottato la manovra che sarebbe stato altrimenti ragionevole attendersi, ovvero evitare l’ostacolo, rallentando, scartando o fermandosi. La complessiva situazione avrebbe dovuto essere foriera di contegni facilmente e normalmente esigibili dall’utente medio della strada, in base ad un criterio di ordinaria diligenza e che, laddove posti in essere dal danneggiato, avrebbero consentito di evitare le conseguenze pregiudizievoli lamentate in sede di Giudizio. Evidente, quindi, la violazione del già menzionato principio solidaristico di cui all’art. 2 Cost, nonché del principio di autoresponsabilità, sempre e comunque incombente sul danneggiato, chiamato ad evitare il determinarsi di danni evitabili con l’impiego di una pur minima prudenza.
Ne è seguito, pertanto, il rigetto integrale della domanda risarcitoria.
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Studio Legale Arbia
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